Giovane di belle speranze
2 è un pittore.
“Ma te se non sono artistoni non li vuoi?” (cit.)
No, ovviamente non li voglio. Dove sarebbe il sacro fuoco della passione? Dove la possibilità di lamentarsi per la scarsa considerazione? Dove il sacrosanto diritto di avere l’istinto da crocerossina? Dove la riconferma della propria idiozia per innamorarsi sempre di quelli sbagliati? Ecco. Ci siamo capiti.

2 è un pittore, e lo era anche allora. Ha sempre saputo il fatto suo, e ancor meglio cosa possa far andare in brodo di giuggiole una ragazza. Non c’ha messo molto a farmi credere che decine di suoi quadri fossero ispirati a me, e che senza di me non avrebbe potuto intingere il suo pennello nella tavolozza dei colori più belli. In effetti, traducendo la frase, senza di me no che non avrebbe pucciato il biscottino. Scusate.
Dicevo, 2 non ha mai negato il suo essere un artista a tutto tondo. Una camera rivestita con immagini e fotografie d’ogni specie, l’odore della vernice diffuso ovunque, la scrivania macchiata d’arte e la finestra sempre chiusa. Capelli arruffati, mani sporche di colore, occhi altrove e pantaloni strappati. Come non amare un cucciolotto così.
Ecco, caso ha voluto che in quest’occasione la bastarda sia stata io. Ma non per poca affinità o paura, no; semplicemente perché 2 era troppo basso. E particolarmente impegnativo. 
Ora potete dire quello che vi pare, ma una ragazza con vicino un fidanzato di quattro o cinque centimetri più basso è gradevole quanto le calze color carne delle vecchie. 
Certo, nelle botti piccole ci sta il vino buono. Ma simile frase l’ho preferita declinare nella versione “più la storia è corta, più va bene”. E così ho fatto.
Sono stata benissimo con 2. Per il poco tempo che l’ho fatta durare. Ancora ricordo una mossa alla Sawyer (nda: siete pazzi a non sapere cosa sia? blasfemi, guardate qua ) che, per quanto siano passati 10 anni, mica mai nessuno me l’ha rifatta così bene. Diciamolo. 
Ho ancora un paio di suoi quadri, nascosti chissà dove. Probabilmente sono fotocopie a colori. Ma, nel caso in cui non lo siano, magari tra una ventina d’anni diventeranno preziosissimi e io ricca sfondata. Pregate per me.
Giovane di belle speranze
Ogni persona dovrebbe avere una certa memoria storica amorosa. Io non è che non ce l’abbia, semplicemente l’ho delegata a una lista di nomi discretamente lunga sul mio mac. Non perché non abbia amato a sufficienza nella mia vita, anzi, al contrario: ho distribuito affetto e attenzioni in maniera così incondizionata che, spesso, per autodifesa me ne sono pentita. E ho iniziato a volermi dimenticare di alcuni nomi, alcune presenze, alcune ferite di difficile cucitura. Ma negli anni queste presenze si sono fatte, a prescindere dalla mia volontà, così radicate in me da aver bisogno di un’uscita per essere esorcizzate. Quella scritta è la perfetta chiusura del sipario. Fino al prossimo spettacolo.





1 è sempre stato uno stronzo. Non di quelli che definisci tali per qualche telefonata mancata o perché preferisce gli amici ad accompagnare te a fare shopping; stronzo nel vero senso della parola. Etimologicamente parlando:
“Volgare epiteto ingiurioso, la cui connotazione offensiva si è andata via via riducendo con il tempo, fino a significare, genericamente, «persona inetta e incapace, o che comunque si comporta in modo criticabile»; stupido, odioso, detestabile.”

1 non era un ragazzo come tutti gli altri. Voglio dire, prima di essere il mio primo fidanzato, era mio amico. Amico come si può esserlo di una sedicenne: in maniera morbosa e superficiale allo stesso tempo, senza una vera conoscenza, però con tanti lati in comune e una smodata passione per la libertà. Canne per tutti e sbronze appena era possibile, insomma.
Poi accadde il fattaccio. Non avevo nemmeno sedici anni quando, in preda alla noia più che all’euforia di un capodanno banale, decisi che avrei dovuto baciare in una notte più ragazzi possibili.
Ero bella, di una bellezza corrucciata e capricciosa, con i capelli rossi e gli occhi ripassati di nero. La bocca era lucida di gloss a inizio serata, ma dopo alcune ore e sette amici baciati divenne giusto stanca e screpolata.
Ecco, quello fu il mio modo per allontanarmi da 1 Perchè lo sentivo stringermi in una morsa, e certo all’epoca non avevo idea che le situazioni potessero venire risolte con un coscienzioso discorso sugli spazi personali e sulle tempistiche asincrone. In realtà una tale consapevolezza non ce l’ho neppure oggi, ma lasciamo perdere.
Dicevo. Volli allontanarmi da 1 in maniera vigliacca, in modo che capisse in fretta che non avevo la più lontana voglia d’immischiarmi in una relazione acerba e senza propulsioni. Il problema nacque quando lui si convinse del contrario. E io, povera testolina bellissima ma senza esperienza, mi lasciai prendere dalla sua tela di ragno sottile e velenosissima.
“Ma sì, mi ci fidanzo oggi, così tra una settimana lo posso lasciare e si torna amici come prima”.
Ci sono stata insieme quasi un anno. D’inferno.
Il primo amore non si scorda mai: col cazzo. O, meglio, non si scorda non perché sia stato meraviglioso, ma perché è stata l’esperienza più brutta e tremenda dell’intera vita.
1 non voleva che tenessi i capelli lunghi, né che mi truccassi.
Dovevo vestirmi solo con abiti da uomo, stare con i suoi amici e nessun altro, perché solo lui poteva salvarmi e non farmi proseguire nella strada della perdizione cui mi ero votata.
No, ma nel senso. A me quella strada a metà tra il tossico e l’inettitudine piaceva molto. Ora qualcuno dovrebbe spiegarmi perché un coglione patentato avrebbe potuto insegnarmi qualcosa. Ma col senno di poi è facile parlare...
Insomma, per un anno divenni una sorta di burattino. Che, come Pinocchio però, iniziò a cercare qualche via di fuga. Lui finì nella bocca della balena; io mi sono finta così tanto aderente all’idea che lui voleva avere di me che divenni da sola la mia personale Fata Turchina. Mi trasformai non in un bambino, no; bensì in una giovane donna manipolatrice. Quando l’allievo supera il maestro.
Lo lasciai dopo un’estate trascorsa lontano. Insieme alle foglie dell’autunno inoltrato abbandonai i panni della persona che non ero, ma che qualcun altro voleva che fossi. Non lo rividi più.
1 mi ha chiesto scusa, però. Quest’anno. Dopo dieci anni di gelo e assenza completa. La vendetta è un piatto da gustare freddo, qualcuno dice. Sarà, ma perde il sapore.
Giovane di belle speranze
Sono trentasette. Dico, non i miei anni. Ma i nomi presenti su una certa lista, formato .doc, salvata sull'hard disk di questo computer.
Vi basti sapere questo, poi capirete di che numero si tratta. Ché alcune volte la vita delle ragazze troppo vecchie per fare le adolescenti, troppo giovani per fare le donne vissute e troppo stupide per viversi le relazioni in maniera sana non è poi così noiosa.
Soprattutto quando lo si decide a tavolino - nel vero senso della parola, con davanti un bicchiere di cuba libre pestato e nello stomaco almeno altri tre - insieme a due cari amici. Che non hanno vie di mezzo, che non vedono sfumature, che per questo sono come me. Altro che pacche sulle spalle, noi ci si scambiano macigni. E libri, e risate, e pettegolezzi, e allegria, e futuro. Avevo dimenticato che gli amici servono a questo, oltre che a bere.
Questo blog vorrà essere un racconto. Una perfetta analisi di una vita sperperata dietro a relazioni monoporzione (beh, come dice mia madre, da una disadattata sentimentale come me cosa si può pretendere?), per lo più a senso unico. Non il mio, of course. 
Partirò dal primo nome della lista. Capirete, capirete tutto.






e ci facevan compagnia a un bancone i nostri crolli esistenziali da due soldi 
sono passati cinque anni e credi, per chi ha tanta sete sono molti
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